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L’arte di perdersi, l’arte di diventare più specifici – Kentucky Route Zero atto IV

Il tutto si apre con un gigantesco animatronic a forma di mammuth. Rumoreggia, manda scintille, è irrimediabilmente guasto. Un tempo il suo meccanismo interno produceva una musica, ma nessuno ricorda più quella melodia. (Leggi tutto…)
L’imperfezione e la bellezza – parte prima: videogiochi

L’imperfezione va amata. Non si tratta del solito discorso sulla tutela della propria diversità, si tratta della peculiarità nel modo di percepire la bellezza.
Quanti disegnatori tecnicamente eccellenti esistono al mondo? Milioni. Internet è bombardata quotidianamente da disegni iper-realistici che, pur lasciano increduli ad una prima occhiata, domani non ricorderemo. Disegni perfetti e fotografici di una confezione di fagioli. Cosa ci comunicano, cosa lasceranno dietro di sé? Nell’effettivo nulla.
Ci siamo sempre innamorati di particolari dell’altro che erano piccoli tesori per noi, abbiamo sempre pensato -magari arrogantemente- di essere gli unici a vederli ed apprezzarli davvero. Mentre per gli altri erano imperfezioni.
L’imperfezione è la peculiarità, l’unicità, il tratto umano. E’ voler rendere qualcosa al di là dei propri limiti tecnici e quindi di sé stessi. Se è più importante ciò che si vuole esprimere, la forma si sottomette al sentire. La bellezza, quella vera e profonda e duratura, si nasconde dietro alle imperfezioni apparenti.
Wunderkammer #12

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La mia testa è fatta dello stesso materiale del sole – Upstream color di Shane Carruth

Esistono film in grado di elevarsi oltre il mezzo cinematografico per diventare archetipici, esprimendo in sé qualcosa di trascendente rispetto alle stesse intenzioni dei loro creatori. Film che contengono intuizioni che possono essere continuamente interpretate dallo spettatore, rendendoli opere universali. O almeno questa è sempre stata la mia opinione. Penso ad una rosa di capolavori: L’angelo sterminatore di Luis Buñuel, 8 e 1/2 di Federico Fellini, Stalker di Andrej Arsen’evič Tarkovskij, 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, Inland Empire di David Lynch. Upstream color di Shane Carruth entra per me di diritto in questo gruppo. (Leggi tutto…)
Gaga, la danza neonatale

Penso che anche stavolta vi spiazzerò un po’, andando ad affrontare un ambito totalmente diverso rispetto ai precedenti.
E, anche stavolta, la precisazione iniziale potrà sembrarvi contraddittoria. Non sono un appassionato di danza. Probabilmente perché è un ambito che conosco poco, e di conseguenza poco comprendo. Ma, se mi invitate a vedere uno spettacolo di danza, sul momento l’idea non mi entusiasmerà granché. O almeno così è stato fino ad ora. E non solo, ho già visto spettacoli di Ohad Naharin in passato e non mi hanno affatto colpito. (Leggi tutto…)
Wunderkammer #11

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Vivo alla fine di un corridoio da cinque minuti e mezzo – Casa di foglie di Mark Z. Danielewski

A prescindere da qualsiasi cosa abbiate sentito o letto su questo libro, Casa di foglie di Mark Z. Danielewski è oggettivamente un capolavoro.
Personalmente lo colloco nella rosa dei grandi libri posmoderni (Leggi tutto…)
Wunderkammer #10

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Una vecchia canzone per la Kentucky Route Zero

Viaggiare di notte ha per tutti un sapore speciale. Quando l’orario è particolarmente tardo, in quel punto ci si chiede se davvero si riuscirà a tornare a casa e, in fondo, se ha senso farlo. Il mondo lungo la strada, di notte, ha un sapore differente: i pensieri ti prendono in modo diverso dal solito, trascinandosi dietro ricordi e reminiscenze che di giorno non ti toccherebbero. I luoghi assumono altre fisionomie. E, in alcuni angoli, senti che si annida un non-so-ché di irreale. Forse addirittura di metafisico.
Ritroverete queste sensazioni, prima di ogni altra cosa, giocando a Kentucky Route Zero, un’avventura grafica del tutto atipica in cinque episodi (di cui al momento solo quattro sono stati pubblicati -AGGIORNAMENTO: leggi la recensione del quarto episodio).