Il mondo degli indie-games

Ad un articolo apparentemente tanto nerd va fatta una premessa. Non ho mai avuto una passione per i videogiochi…
Nell’adolescenza sono stati pochissimi i titoli a cui ho giocato, solo classici come Monkey’s Island, Dink Smallwood e Baldur’s Gate. E successivamente ha fatto eccezione il bellissimo Don’t Starve, grazie all’impianto illustrativo post-burtoniano che mi ha letteralmente conquistato.
Mi affascinano le potenzialità dei videogame, lo ammetto, ma ho sempre snobbato l’industria ludica tesa alla resa grafica piuttosto che ad un’esperienza utente davvero unica. Ho sempre sognato giochi che non cercassero semplicemente di rendere interattivo il cinema, ma veri e proprio mondi a sé stanti con leggi proprie in cui calarsi alla cieca.

Un paio di anni fa, però, è cominciata casualmente una mia piccola ricerca nel mondo dei cosiddetti indie-games.
Tutto ha avuto inizio con l’uscita di Subbania di Ektomarch. Si tratta di un gioco in html5 (+ javascript), fondamentalmente un platform molto semplice e classico, nel quale un sottomarino nazista si perde in una sorta di inferno subacqueo.
Ciò nonostante l’atmosfera totalmente inquietante, accentuata da un buon sound design, i dialoghi fra il surreale e l’esistenziale, l’uso della grafica pixel bianca su sfondo nero che traccia creature alla Heinz Edelmann, mi hanno davvero colpito.
L’ho divorato in pochi giorni…

All’epoca non credevo potessero esistere giochi del genere, ero sorpreso dall’idea di poter rendere in modo tanto semplice (per struttura e grafica) un sentimento a tal punto acuto di inquietudine e di mistero. Questo mi ha spinto a cercare altri giochi similari naturalmente. Ed in questo modo sono incappato in quel piccolo universo che è RPG Maker e i suoi strani figli.

RPG Maker è un software, molto in auge nei primi 2000, per creare in modo semplificato videogiochi con struttura action rpg. Ha permesso di creare videogiochi su larga scala senza conoscenze approfondite di codice, dando vita ad un piccolo universo indipendente ed amatoriale. Ma permettendo anche di creare videogiochi particolarmente atipici.
Il caso più eclatante è Yume Nikki, ed è anche il primo in cui sono incappato nella mia ricerca.
Yume Nikki (che si può tradurre come Diario dei sogni) è un freeware a 32-bit creato nel 2004 da un misterioso personaggio dal nickname Kikiyama, di cui non si conosce la vera identità e di cui non esiste più una presenza in rete dopo il rilascio dell’ultima versione nel 2007.

Non si tratta di un videogioco, ma letteralmente di un’esperienza di coinvolgimento emotivo.

Non contiene un plot, non contiene azione e non contiene un vero e proprio scopo, lascia il giocatore spiazzato ponendosi domande senza risposta concreta, pur mantenendo una struttura di una semplicità disarmante.
Protagonista è Madotsuki, una bambina che apparentemente vive sola in una stanza dove c’è unicamente un letto, un balcone, una console con un videogioco insensato e una porta che non vuole aprire. Questa porta potrà essere aperta solo una volta addormentati, permettendo di esplorare il mondo dei sogni.
Ci si trova così immediatamente a vagare attraverso universi cupi surreali e spesso inquietanti, talvolta labirintici talaltra ripetitivi o vuoti, popolati di creature e personaggi deformi e composti di elementi inconsci ed oscuri, a tratti distorsione della realtà. Tanto che alcune delle interpretazioni più accreditate sul gioco fanno riferimento ad un trauma da stupro subito dalla protagonista.

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Ma non c’è un modo per descrivere a parole di cosa si tratti, ci si deve perdere per poterlo capire, in qualche modo sospendendo il giudizio e subendo incondizionatamente.
Si tratta di un piccolo viaggio nell’immaginario e nell’inconscio di una persona, tanto più che il nome Madotsuki significa grossomodo finestra sul petto. E che si conclude con un finale che mette in dubbio le nostre stesse azioni e non può lasciare indifferenti.
Lo posso ammettere, questo gioco mi ha rapito, affascinato, straziato, inquietato, a tratti ossessionato, e lo considero fondamentalmente un capolavoro, un’espressione d’arte.

Questa scoperta mi ha spinto naturalmente a proseguire le mie ricerche nell’ambito rpg maker ed in generale di quel genere chiamato indie, partendo da una serie di fangame ispirati a Yume Nikki (di cui val la pena citare solo .flow e Yume 2kki ma senza soffermarcisi), fino ad arrivare ad altri classici come Ib, Space funeral, Corpse Party, Witch House, I’m scared of girls e OFF.
Sono videogiochi con un immaginario narrativo sempre complesso ed interessante, dove l’inquietudine e il senso di cupo mistero ti coinvolgono emotivamente -come in Ib-, in cui ci si trova sbalzati in un vero e proprio universo articolato con proprie leggi -come in OFF- e dalle trovate risolutive che spesso hanno del geniale -Space funeral-. Sono giochi che consiglio, esperienze di coinvolgimento e di collisione con immaginazioni altrui, ma nessuno di questi titoli a parer mio è davvero un capolavoro come quel primo oscuro Yume Nikki, nessuno di questi è arte.

Stavo quasi per abbandonare le speranze, perché d’altra parte un’opera d’arte è di per sé unica ed irripetibile, quando sono incappato in un artista straordinario, John Clowder, conosciuto su internet come revolverwinds e myformerselves, collage-maker illustratore e creatore degli indiegames Middens e Gingiva (che contengono anche i begli acquerelli di Shaina Nordlund).

Semplificando di molto, Middens tratta il viaggio del cosiddetto Nomade del Tempo attraverso una zona x chiamata Spaccatura con lo scopo purificarla, in compagnia di un revolver parlante che gli offre di dirigerlo in cambio di un legame inestricabile.

Gingiva tratta invece dell’omonima protagonista, una donna a cui è stata sostituita la testa con una chiave di carica, ritenuta difettosa e nociva per l’unità di produzione dalla Santa Madre Altissima. Rinchiusa in una cella, viene rapita da una dentiera che vive nei muri, al fine di sfuggire al sistema e raggiungere una frontiera lontana e l’incontro con il misterioso Magistrato.

Credo basti questo per intuire l’insensatezza e l’assurdità di questi due giochi, un’insensatezza però tesa ad esprimere costantemente riflessioni sul reale e un’assurdità capace di portare il giocatore ad uno stato di continua sorpresa. Le due storie sono idealmente collegate, ed hanno una medesima fattura contraddistinta da un apparato visivo straordinariamente destabilizzante. Clowder è un visionario che alterna collage-art in pixel dal sapore lisergico ad illustrazioni che sembrano tavole alchemiche medievali schiantatesi contro un immaginario cyberpunk (con qualche memoria dell’indimenticabile Codex Seraphinianus). Ma non si limita all’immagine, lavora sul suono e sulla colonna sonora in modo altrettanto enigmatico ed affida alle mille creature aforismi dal sapore occulto ed esistenziale.
Se Middens è un gioco a tratti infinito, senza un reale modo univoco per essere giocato (si può esplorare il vastissimo mondo in cerca di un senso, dialogare coi suoi abitanti, scegliere di battagliare ricevendo un “niente” ad ogni uccisione), Gingiva si focalizza su un plot davvero intrigante dal sapore sociale e spirituale, pur in una matrice dadaista che ci porta a contrastare attacchi come il fashion anni ’80 con un clown triste.
Entrambi ruotano attorno alla Spaccatura, un miscuglio di culture, società, mondi crollati inutili reietti o distrutti, che si allarga mano a mano inghiottendo tutto, come quest’arte di ritagli riassemblati e perle di saggezza innestate fra frasi insensate.
Non si tratta di due giochi adatti a tutti, naturalmente. Ma non c’è una sola idea banale in questo gigantesco collage distopico, e questo apparirà evidente a chiunque provi a giocarli.

Come qualsiasi capolavoro contiene una forma imperfetta, come qualsiasi capolavoro è questa imperfezione a mostrare il genio.

Concludo questo piccolo excursus su un’arte minore lasciandovi qualche link:

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